Il giardino dei ciliegi - Pratiche dell'abitare ai tempi di FICO

  “Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici,
ecco lo scopo e il senso della nostra vita.” 
A. P. CECHOV 

 

La compagnia Kepler - 452, attraverso uno  sguardo contemporaneo  al classico della drammaturgia “Il Giardino dei Ciliegi” di Céchov (in scena fino al 30 marzo all’Arena del Sole), ci racconta la storia di Annalisa e Giuliano Bianchi che hanno vissuto e amato per 32 anni un luogo che ora non gli appartiene più.  

I luoghi appartengono a chi li abita e ama o a chi li possiede? Questo quesito dà l’avvio allo spettacolo, interrogando lo spettatore e Bologna città. La Bologna di Atlantide, del murale cancellato da Blu e del parco agroalimentare più grande del mondo, FICO. 
Italo Calvino nel suo libro ‘Le città invisibili’ diceva che “di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere.” La risposta di Bologna al quesito, iniziamo a cercarla con i protagonisti nel cuore dell’Ottocento, nel primo atto dell’opera di Céchov.

Siamo nella cosiddetta stanza “dei bambini”, fuori dalla finestra possiamo immaginare il giardino dei ciliegi nello splendore della prima luce del mattino. Nicola Borghesi, uno degli autori e regista dell'opera, ci guida tra la Russia pre-rivoluzionaria e la Bologna contemporanea, dove Annalisa, nei panni di Ljuba, è appena ritornata a casa dopo cinque anni, accompagnata da sua figlia Anja, interpretata da Paola Aiello. Ad aspettarle ci sono Lopachin (Lodo Guenzi), mercante e amico di famiglia e Gaiev (Giuliano), fratello di Ljuba. 


Poco dopo il suo arrivo, Ljuba viene informata del fatto che ad agosto la proprietà sarà messa all'asta, per pagare i debiti della famiglia. 
Lopachin si offre di aiutarla proponendole di dividere il terreno in 108 piccoli orti urbani. Così, dalla Russia di Checov, siamo nuovamente a Bologna, precisamente nel quartiere Pilastro e passeggiamo insieme ai coniugi Bianchi in un campo di girasoli tutti morti. Il giardino dei ciliegi è quel campo di girasoli, è un’esplosione di oggetti, è una catasta di voliere, sono due figure sedute vicino al fuoco, è la vita vissuta di una coppia in periferia. Sono infatti soprattutto le assenze ad essere presentificate in questo spettacolo. Possiamo immaginarci tutto quello che non c’è, sentire la vita che scorre all’interno della casa dei Bianchi e percepire Bologna attraverso un graffito di Blu che da anni è stato cancellato. 

 

La casa colonica concessa in comodato d’uso ai Bianchi per trent’anni  di via Fantoni è ora abitata da un vuoto assordante che rivendica la propria presenza a gran voce: proprio come la vernice grigia passata da Blu sul murale Occupy Mordor in Bolognina, nella notte tra il 11 e il 12 marzo 2016, stesa per ricordarci che sono le relazioni umane che contano, quelle che resistono alle logiche dominanti. Senza queste pratiche dell’abitare le città sarebbero null’altro che “un agglomerato di edifici e cose” (Mumford, 1938).

Annalisa e Giuliano si muovono sul palco con timidezza sprigionando una bellezza inaudita nella dolceamara cornice teatrale architettata da Kepler- 452 e sorretta con vigore e passione da Lodo Guenzi. 
Siamo all’atto III dell’opera teatrale, sala da ballo.
Ljuba ha dato una festa e alcuni spettatori vengono chiamati sul palco “per far finta di divertirsi”, risuona una musica allegra che pian piano diventa più forte di qualsiasi pensiero. Per poi rompersi all’improvviso: il giardino dei ciliegi è stato venduto.  
Lopachin in una spirale crescente di entusiasmo incita i presenti sul palco a continuare i festeggiamenti risultando sempre più raccapricciante.
I volti degli spettatori coinvolti sul palco sono pietrificati. Da questa parte della staccionata, spiega Lodo uscendo dal personaggio, la musica è così forte che non riusciamo a renderci conto di quello che c’è dall’altra parte. 

Ieri sera all’Arena del sole, il riadattamento dello spettacolo “Il giardino dei ciliegi” ci ha accompagnati dall’altra parte della staccionata. La parte di Annalisa e Giuliano che la risposta della città al quesito iniziale l’hanno vissuta sulla loro pelle.

I Bianchi, grazie alla preziosa collaborazione di Kepler – 452, hanno raccontato una realtà dissidente, che interroga lo spettatore in prima persona sulle pratiche di vita nei luoghi, trovando nuove risposte al quesito iniziale diverse da  quelle che invece la città sembra ritenere ovvie; riuscendo nell’impresa di fare ciò con leggerezza e ironia, con la forza di una radice che rompe il marciapiede e fa inciampare i passanti, facendo ridere tutti a gran voce. 

Il giardino dei ciliegi è la storia di questo e di tanti altri luoghi che animano le nostre città. Annalisa e Giuliano sono solo due dei molti «[…]nostri coetanei stanchi, spenti, scoraggiati, che provano comunque a resistere a una realtà che continuamente presenta il conto» (da un'intervista a Nicola Borghesi, Corriere di Bologna).







Per la redazione Claudia Razzato.








Foto di Luca Del Pia.