La strage di Bologna

Il 2 agosto 1980, alle 10.25, esplose una bomba nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. L’esplosione investì il treno in sosta al binario uno, il tunnel sotto i binari e fece crollare l’ala sud-ovest della stazione, causando 85 morti e più di 200 feriti.

Agli inizi degli anni ’80 si considerava finita la stagione stragista delle bombe in Italia, inaugurata nel 1969 con la strage di Piazza Fontana. Gli obbiettivi delle organizzazioni terroristiche rosse e nere sembravano essere sempre di più singoli individui come magistrati, giudici e politici e i 55 giorni del sequestro Moro, presidente della DC, e la sua successiva esecuzione, appena due anni prima, nel maggio 1978, sembrava esserne la drammatica riprova.

La bomba del 2 agosto smentì amaramente questa teoria, causando il più alto numero di vittime in un attentato nella storia del paese.

Nelle ore successive l’attentato, la posizione delle forze dell’ordine e del governo, fu di attribuire l’episodio all’esplosione di una caldaia nel sotterraneo della stazione, ma le testimonianze dei presenti e i rilievi compiuti dalle forze di polizia, chiarirono presto la natura dolosa dell’esplosione, rendendo chiara la matrice terroristica.

Le indagini si indirizzarono verso l’ambiente dell’eversione fascista, in particolare nei confronti dei N.A.R., i nuclei armati rivoluzionari, e dei suoi leader Valerio Fioravanti, detto Giusva, e Francesca Mambro sua compagna. Il movente sembrò essere l'ordinanza di rinvio a giudizio dei neofascisti toscani accusati della strage dell’Italicus, che due giorni prima della strage il giudice istruttore bolognese aveva depositato.

Il processo contro Giusva Fioravanti, Francesca Mambro ed altri individui legati all’eversione neofascista, si aprì a Bologna nel 1987, i terroristi vennero accusati di banda armata e strage, parallelamente vennero accusati di associazione sovversiva e calunnia aggravata al fine di assicurare l’impunità agli autori della strage, tra loro vari individui legati agli ambienti dell’eversione nera, come Stefano delle Chiaie, esponenti dei servizi segreti come Giuseppe Belmonte, Pietro Musumeli e Francesco Pazienza, nonché Licio Gelli, gran maestro delle loggia massonica coperta P2. Come in tanti altri tragici eventi del dopoguerra italiano, anche per la strage di Bologna si riscontrarono forti attività di depistaggio volte a coprire gli autori materiali e a cercare di insabbiare i moventi e gli individui che portarono al compimento di un così vile e tragico atto.

 

Articoli 2 agosto

 

Fin dai giorni immediatamente successivi venne messa in atto un’opera di depistaggio. Vennero fatte pervenire rivendicazioni telefoniche nelle redazioni dei principali quotidiani da parte dei N.A.R. e delle Brigate Rosse che si riveleranno false, smentite dagli stessi gruppi. Successivamente si scoprirà che quelle chiamate erano partite da un’ufficio fiorentino del Sismi. Ai magistrati giunsero notizie e segnalazioni sulla base delle quali le indagini e i sospetti avrebbero dovuto indirizzarsi oltre confine, la cosiddetta pista internazionale. L’ipotesi scaturita era quella di un complotto internazionale che coinvolgeva terroristi stranieri e neofascisti italiani latitanti all’estero; ad avvalorare questa tesi vi fu il ritrovamento nel gennaio ‘88, su segnalazione dei servizi segreti, di una valigia sull’espresso Bologna-Taranto, contenente otto lattine di esplosivo, lo stesso utilizzato per l’attentato, un mitra MAB, un fucile e oggetti personali di due estremisti di destra, uno francese e uno tedesco. Le attività investigative rivelarono però un’altra verità: un depistaggio, una macchinazione messa in atto da una frangia deviata dei servizi segreti, che voleva accreditare la tesi della pista estera. I processi si protrarranno attraverso varie sentenze e colpi di scena fino al 1995, con la condanna di Fioravanti e Mambro all’ergastolo, quali esecutori materiali. Entrambi si sono sempre professati innocenti rispetto alla stage di Bologna, attribuendosi e rivendicando invece molti altri omicidi. Nel 2007 viene condannato in cassazione anche Luigi Ciavardini, anche lui come esecutore materiale. Sono stati parallelamente condannati per depistaggio delle indagini, Licio Gelli, Francesco Pazienza e gli ufficiali del Sismi Pietro Musomeli e Giuseppe Belmonte. Se da un punto di vista giudiziario sono stati riconosciuti dei colpevoli fino al terzo e definitivo grado di giudizio, molti dubbi e ombre sono rimaste sull’episodio. Tante teorie e testimonianze più o meno attendibili si sono succedute negli anni, contribuendo ad aumentare il mistero su un evento che si inscrive a tutti gli effetti dentro il grande mosaico della strategia della tensione.

Fin dai primi momenti successivi allo scoppio della bomba, Bologna, città ferita si unì con prontezza ai soccorsi, i viaggiatori superstiti e i cittadini accorsi prestarono assistenza alle vittime; auto private cominciarono la spola con gli ospedali cittadini per il trasporto dei feriti, le corsie più esterne dei viali di circonvallazione furono destinate all’esclusivo transito dei mezzi di soccorso. Dato il sovraffollamento delle ambulanze, i dipendenti del servizio di trasporto cittadino misero a disposizione vari autobus, tra questi la famosa linea 37, smontando l’arredamento interno per agevolare il trasporto dei feriti o dei morti estratti mano a mano dalle macerie. La comunità cittadina si strinse attorno al proprio dolore, proponendo tanti gesti di questo tipo, un aiuto importante fu dato ad esempio dai radio amatori bolognesi che tramite le loro frequenze diffusero messaggi e urgenze, spinti dall’abnegazione e dal senso di appartenenza ad una comunità grazie ad un sentimento di solidarietà civile.

Nel giugno 1981 si costituì l’ Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, che si è posta l’obbiettivo, sia del mantenimento del ricordo di quei tragici accadimenti, ma anche e sopratutto quello di proporre iniziative affiancatesi alle indagini in questi anni. I componenti sono soliti incontrarsi a scadenze definite con i magistrati inquirenti, indicendo alla fine dell’incontro una conferenza stampa per aggiornare la comunità dello stato delle indagini. Nel 1981 l’associazione presentò una legge di iniziativa popolare per la rimozione del segreto di stato. L’associazione è stata una delle risposte della società civile al terrorismo stragista e a tutte la connivenze e le trame oscure che la bomba alla stazione di Bologna ha portato e porta tutt’ora con sé. L’associazione si è formata non solo come una comunità di individui accomunati dall’elaborazione di un lutto straziante, ma sopratutto come un gruppo che si propone di tutelare il bene pubblico, l’interessa della comunità e non dei singoli, la sua mobilitazione è votata alla ricerca di una verità senza compromessi.

La strage della stazione di Bologna è l’evento di chiusura degli anni ‘70, una stagione che partita dalle richieste di rinnovamento della società dei movimenti studenteschi, è tragicamente scivolata nella violenza settaria e nel terrorismo stragista che da Piazza Fontana attraverso altre violente tappe si concluse con la stazione di Bologna.

Alla stazione è ancora visibile lo squarcio nella parete e la sala d'aspetto a cui è stato dato il nome Torquato Secci, padre di una delle vittime e fondatore dell'Associazione Vittime della strage. Nel 2010 questi luoghi sono stai dichiarati patrimonio dell'Unesco per la pace, all'interno del Decennio internazionale di promozione di una cultura della non violenza e della pace a profitto dei bambini del mondo (2001-2010).

 

Mario Cecati

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